Ovidio e le Metamorfosi
Anno: 2015
Autore: Erika Riehle
Luogo: Sulmona – Viale delle Metamorfosi
Il murales “Ovidio e le Metamorfosi” si compone di una serie di raffigurazioni di opere della tradizione artistica italiana, realizzate con diverse gradazioni di verde e inserite in un contesto unificante. Il fondo, del medesimo colore delle figure, contribuisce a far immergere il manufatto nell’ambiente circostante; la staticità delle campiture piatte è equilibrata dal ritmo impresso dalla divisione della superficie in porzioni longitudinali il cui tono man mano si schiarisce per tornare, infine, su quello iniziale.
L’artista combina vari piani stilistici e storici, citando capolavori dell’arte classica di epoche diverse e dando loro una connotazione contemporanea con l’inserimento in una composizione essenziale ed elegante. Su una delle pareti (facciata A) campeggia il grande volto di Ovidio, tratto da un primo piano fotografico della statua bronzea sita in centro storico a Sulmona. Sulla destra del ritratto uno dei versi conclusivi delle Metamorfosi (“Iamque opus exegi, quod nec Iovis ira nec ignis/ nec poterit ferrum nec edax abolere vetustas” – e ormai ho compiuto un’opera che né l’ira di Giove né il fuoco né il ferro né il tempo che tutto rode potranno cancellare – Met. XV vv 871-872). (Ettore Ferrari)
Facciata B: Narciso (“uror amore mei, flammas moveoque feroque” – brucio d’amore per me stesso, suscito e subisco la fiamma – Met. III v. 464) (Caravaggio)
Facciata C: Leda e il cigno (“Fecit olorinis Ledam recubare sub alis” – rappresenta Leda sdraiata sotto le ali del cigno – Met. VI v. 109). (Leonardo)
Il labirinto (“Dedalus…turbatque notas, et lumina flexu/ducit in errorem variarum ambage viarum” – Dedalo […] e scompiglia i punti di riferimento e induce l’occhio in errore con i rigiri tortuosi di molte vie – Met. VIII vv. 159-161)
Facciata D: Apollo e Dafne (“mollia cinguntur tenui praecordia libro/ in frondem crines, in ramos bracchia crescunt” – il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami Met I, vv. 549-550) (Lorenzo Bernini)